mercoledì 10 maggio 2017

Fiducia in se stessi di R.W. Emerson

da www.gianfrancobertagni.it


Ne te quaesiveris extra (1)


L'uomo è la propria stella; e l'anima che può foggiare un onesto e perfetto uomo comanda ogni luce, ogni influsso, ogni fato; nulla per lui accade o presto o troppo tardi. I nostri atti sono i nostri angeli, buoni o cattivi, le fatali ombre che ci camminano accanto in silenzio.
Fletcher e Beaumont, La fortuna dell'uomo onesto. Epilogo.


Getta il marmocchio sulle rocce, allattalo al capezzolo della lupa, allevalo col falco e con la volpe, vigore e speditezza siano mani e piedi per lui.


Leggevo, l'altro giorno, alcuni versi scritti da un eminente pittore, versi originali e non convenzionali. L'anima sempre avverte come un ammonimento in versi del genere, quale che ne sia l'argomento. Il sentimento che instillano vale più di ogni pensiero che essi possano contenere. Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione latente in voi, ed essa prenderà significato universale; giacché ciò che è interno diventerà esterno, a tempo debito, e il primo nostro pensiero ci sarà restituito dalle trombe del Giudizio Finale. Familiare com'è una tale voce a ciascuno di noi, il merito maggiore che noi attribuiamo a Mosè, a Platone e a Milton è che essi non tennero in nessun conto libri e tradizioni, ed espressero non ciò che gli altri uomini pensavano, ma ciò che essi pensavano. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d'occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti. E invece ognuno dismette, senza dargli importanza, il suo pensiero, proprio perché è il suo. E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro. Grandi opere d'arte non ci offrono una lezione che sia per noi più significativa. Esse ci insegnano ad affidarci alle nostre impressioni genuine con serena inflessibilità soprattutto allorché l'intero clamore di voci è dalla parte opposta. Anzi, potrebbe essere un estraneo, domani, a dirci precisamente, con magistrale buon senso, quello che noi abbiamo nel frattempo pensato e avvertito, e noi saremo costretti, con vergogna, a ricevere da un altro quella che era la nostra propria opinione.
Arriva un tempo, nell'educazione di ciascun uomo, in cui egli si convince che la competizione è ignoranza; che l'imitazione è suicidio; che deve saper accettare se stesso per il meglio e per il peggio, come parte sua; che per quanto il grande universo sia buono e generoso, nemmeno un chicco di nutriente grano può arrivare à lui se non attraverso la fatica prodigata su quel pezzo di terra che gli è stato dato da dissodare. Il potere che è in lui è qualcosa di nuovo in natura, e nessuno, eccetto lui stesso, può sapere che cosa sia quello che egli può fare, né può mai saperlo finché non ha provato. Non per nulla una faccia, un carattere, un fatto possono maggiormente colpirlo, e un altro lasciarlo indifferente. Né è senza una prestabilita armonia che vi sia, per così dire, questa scultura nella memoria. L'occhio fu collocato là dove un raggio sarebbe caduto, di modo che potesse testimoniare di quel particolare raggio. Noi esprimiamo noi stessi soltanto a metà e quasi ci imbarazza quell'idea divina che ciascuno di noi rappresenta. Si può, certo, senz'altro ritenere che essa sia qualcosa di buono, di equanime e di giusti esiti, per cui a buon diritto se ne dovrebbe parlare; ma Dio non vuole che siano dei codardi a rendere manifesta la sua opera. Un uomo si sente sollevato e lieto quando ha riposto tutto se stesso nella propria opera e ha fatto del suo meglio; ma ciò che ha detto o fatto in diversa maniera non gli darà pace. È una liberazione che non libera. Nei tentativi, il suo genio l'abbandona; nessuna musa lo soccorre; non ha più inventività, non ha speranze.
Confida in te stesso: ogni cuore vibra a una tale corda di ferro. Accetta il posto che il divino provvedere ha trovato per te, la società dei tuoi contemporanei, la connessione degli eventi. Gli uomini grandi sempre fecero così, e affidarono se stessi fanciullescamente al genio della loro età, testimoniando la loro percezione che l'assolutamente affidabile aveva preso posto nei loro cuori, operando attraverso le loro mani, prendendo possesso di tutto il loro essere. E siamo ora anche noi uomini, e dobbiamo accogliere con la più alta convinzione il nostro trascendente destino; e non come minorenni e invalidi riparati in un cantuccio, non come codardi in fuga davanti a una rivoluzione, ma come guide, redentori e benefattori obbedienti allo sforzo Onnipotente e avanzanti sul Caos e le Tenebre. (2)
Quali graziosi oracoli ci offre la natura, a tale riguardo, nel viso e nel comportamento di fanciulli, di infanti e perfino di animali! Essi non hanno mai quell'umore d'incertezza e renitenza, quella sfiducia che s'impossessa di noi solo perché la nostra aritmetica ha calcolato le forze e i mezzi che si oppongono a un nostro proposito. Essendo dunque integra la loro mente, il loro occhio è ancora indomato, e noi guardando i loro volti restiamo confusi e perplessi. L'infanzia non si conforma a nessuno; tutto si conforma ad essa, tanto che un bambino riesce di solito a tener testa a quattro o cinque degli adulti che chiacchierano e scherzano con lui. Così Dio ha dotato la giovinezza e la pubertà, nonché l'età matura, di un loro proprio sapore e fascino, rendendo ciascuna età desiderabile e amabile con le sue particolari istanze, nella misura in cui ognuna se ne starà per proprio conto. Non crediate che il giovane non abbia una sua forza solo perché non è in grado di parlare con voi e con me. Uditelo! Nella stanza accanto la sua voce è abbastanza chiara ed eloquente. Sembra che sappia bene come parlare ai suoi coetanei. Timido o ardito, saprà sempre come rendere noi più anziani assolutamente non indispensabili.


La noncuranza di ragazzi che hanno il pranzo assicurato e che disdegnerebbero, simili a grandi signori, di fare o di dire alcunché che suoni come pacato e conciliante, è l'atteggiamento stesso, sano è solido, della natura. Un ragazzo è in un salotto ciò che è la platea in un teatro: indipendente, irresponsabile, osserva dal suo cantuccio uomini e fatti che gli passano davanti, li giudica, trincia sentenze sui loro meriti, nel modo rapido e sommario dei ragazzi, definendoli buoni, cattivi, interessanti, stupidi, eloquenti, fastidiosi. Né si dà mai pensiero di conseguenze e di interessi; egli emette un verdetto assolutamente indipendente, genuino. Siete voi che dovete corteggiarlo; non sarà certo lui a corteggiare voi. (x) L'uomo invece è, per così dire, sbattuto in prigione dalla sua stessa consapevolezza. Non appena ha finito di agire o di parlare con un certo éclat, ecco che è già una persona consegnata a un suo impegno, tenuta d'occhio dalla simpatia o dall'astio di centinaia di persone, dei cui sentimenti non potrà, d'ora in avanti, non tener conto. Non c'è un fiume Lete per questo. (3) Ah, se gli fosse ancora possibile rientrare nella sua neutralità! Solo chi riesce a evitare tutti i vincoli e, avendo osservato, a osservare ancora, dall'alto della sua imperturbabile, inviolata, incorruttibile e impavida schiettezza, deve sempre essere oggetto di rispetto. Solo lui potrebbe pronunciare le sue opinioni su tutto ciò che accade, opinioni che, non essendo considerate mai di carattere personale ma generali e necessarie, penetrerebbero come dardi nell'orecchio degli uomini, ponendoli in timore e rispetto.
Sono queste le voci che noi udiamo in solitudine, ma che diventano fioche e non più udibili appena rientriamo nel mondo. La società dovunque cospira contro la maturazione di ciascuno dei suoi membri. La società è come una compagnia i cui soci hanno concordato che al fine di meglio assicurare il pane a ciascun azionista, colui che lo mangia rinuncia però a libertà e cultura. La virtù più ricercata è il conformismo. La fiducia in se stessi ne è la piena antitesi. Il conformismo non ama le realtà vere, né gli spiriti creativi, ma solo nomi e consuetudini.
Chiunque voglia essere un uomo, dev'essere un non-conformista.
Chi vuol cogliere palme immortali non deve farsi intralciare dal nome della bontà, ma deve indagare se di bontà si tratta. Niente è infine sacro al di fuori dell'integrità della mente. Assolviti da te stesso, e avrai il suffragio del mondo. Ricordo una risposta che, giovanissimo, diedi con prontezza a uno stimato consigliere che era solito importunarmi con le sue care, antiquate teorie chiesastiche. Alla mia domanda: «Che ho io a fare con la sacralità della tradizione, se io vivo totalmente della mia interiorità?», quell'amico rispose: «Ma simili impulsi possono venirti dal basso, non dall'alto». E io: «A me non sembra che siano tali; ma se io sono il figlio del diavolo, vivrò allora da diavolo!». Nessuna legge può per me essere sacra se non quella della mia natura. Buono e cattivo sono solo nomi da applicare celermente a quello o a questo; è giusto solo ciò che è consono alla mia costituzione, è ingiusto ciò che le si oppone. Ognuno dovrebbe portarsi davanti a ogni ostacolo come se ogni cosa fosse solo apparente ed effimera, tranne lui stesso. Provo un senso di vergogna quando penso con quanta facilità tutti finiamo invece col capitolare di fronte a nomi e insegne, grandi società e istituzioni defunte. Ogni individuo decoroso, di cui si parli più o meno bene, mi influenza e mi domina più di quanto non sia giusto. Dovrei procedere diritto e deciso, ed esprimere in ogni maniera la rude verità delle cose. Se malizia e vanità indossano i panni della filantropia, le faremo dunque passare? Se un fanatico arrabbiato si facesse paladino di questa generosa causa dell'Abolizione (4) e venisse da me con le sue ultime notizie dall'isola di Barbados, (5) perché non dovrei dirgli: «Va', ama anzitutto tuo figlio; ama il tuo spaccalegna; sii affabile e modesto; fa' questo, e non verniciare la tua dura e incaritatevole ambizione con quest'improbabile tenerezza per negri che vivono a più di mille miglia da te. Questo tuo amore per ciò che è lontano è intanto trascuratezza in casa tua». E, certo, sarebbe questo un saluto piuttosto aspro e scortese, ma la verità e più bella di ogni affettazione d'amore. La tua bontà deve avere un suo taglio affilato, altrimenti non è nulla. La dottrina dell'odio dovrebbe essere predicata come un contraltare della dottrina dell'amore, quando questa si fa gemente e piagnucolosa. Io fuggo padre e madre, moglie e fratello quando il mio genio mi chiama. (6) Vorrei scrivere sul frontone della mia soglia (7)Estro. Spero che sia qualcosa di più di un estro, alla fine, ma non staremo a passare la giornata in spiegazioni. Né aspettatevi che vi dica perché cerco o perché escludo la compagnia. E non riparlatemi, come ha fatto oggi un brav'uomo, del mio dovere di mettere tutti i poveri in migliore condizione. Sono forse essi i miei poveri? Io dico a te, stupido filantropo, che io rimpiango il dollaro, il centesimo, la monetina che io do a persone che non appartengono a me e alle quali io non appartengo. Vi è, al contrario, tutta una categoria di persone dalle quali, per ogni spirituale affinità, accetterei di essere comprato e venduto; per loro andrei anche in prigione, se fosse necessario; ma le vostre promiscue carità popolari, le scuole aperte agli stupidi, la Costruzione di case-di-riunione per i vani scopi per i quali molte di esse operano; elemosine elargite ai beoni, e le Società di Assistenza mille volte fallite: benché mi tocchi confessare, con un certo imbarazzo, che qualche volta soccombo anch'io e do il mio dollaro, un cattivo dollaro, che via via avrò la fermezza però di rifiutare.


Le virtù sono, secondo l'opinione generale, più l'eccezione che la regola. Vi è l'uomo, e vi sono le sue virtù. Gli uomini compiono quella che si chiama una buona azione, qualche episodio di coraggio e di carità, quasi come se avessero da espiare, con qualche ammenda, la loro quotidiana assenza dal corteo della vita. Tali azioni sembrano compiute come per una giustificazione o un'attenuaziòne del loro esistere al mondo - così come gli invalidi e gli infermi pagano una loro retta più alta. Le loro virtù sono penitenze. Io non voglio espiare, ma vivere. La mia vita vale per se stessa e non per dare spettacolo. Preferisco che sia in tono minore, ma genuina e univoca, piuttosto che brillante e instabile. Desidero che sia sana e serena, e che non abbia bisogno di diete e salassi. Io chiedo, prima d'ogni cosa, che tu dimostri d'essere un uomo, e mi rifiuto di trasferire tale qualificazione dall'uomo alle sue azioni. So che per me non comporta differenza se mi astengo da quelle azioni che sono reputate eccellenti o se le compio. Non posso acconsentire a pagare per un privilegio quando so che si tratta di un mio intrinseco diritto. Per scarse e misere che siano le mie qualità, io esisto di fatto, e non ho bisogno, per rassicurare me stesso e per rassicurare i miei amici, di nessun'altra testimonianza accessoria.
Quel che io debbo fare è quanto riguarda me, non ciò che la gente ne pensa. Una tale regola, tutt'altro che facile da applicare sia nella vita pratica che in quella intellettuale, potrebbe servire come esatta distinzione tra grandezza e mediocrità. Tutto è poi reso arduo dal fatto che c'è sempre qualcuno che crede di sapere quali siano i tuoi doveri meglio di quanto non sappia tu stesso. È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l'indipendenza della solitudine.
L'obiezione al tuo conformarti a usi e costumi diventati per te lettera morta è che ciò disperde le tue energie. Dissipa il tuo tempo e offusca la fermezza del carattere. Se tu mantieni in vita una chiesa defunta, se dai il tuo contributo a una consunta società biblica, se dai il tuo voto a un grande partito a favore o contro il governo, se ti metti a stendere la tovaglia sulla tavola come una donnetta di casa, io avrò difficoltà a discoprire sotto tutti questi schermi il preciso uomo che tu sei: e, naturalmente, altrettanta energia è sottratta alla tua propria vita. Fa' il tuo lavoro, e io ti riconoscerò. Fa' il tuo lavoro, e rinforzerai te stesso. Ognuno deve considerare che sorta di mosca cieca sia questo gioco del conformismo. Se io so a quale setta appartieni, anticiperò le tue argomentazioni. Sento annunciare, da un predicatore, quale tema per il suo sermone, quello dei vantaggi che deriverebbero da una delle istituzioni della sua chiesa. Ma non so già, fin dall'inizio, che da lui non può venirmi una parola nuova e spontanea? Non so già che, nonostante tutta questa ostentazione di disponibilità a esaminare i fondamenti della sua istituzione, egli non ne farà nulla? Non so già che egli è vincolato con se stesso a non guardare che a un solo lato, al lato consentito, non come uomo, ma come ministro della sua parrocchia? Egli è un avvocato d'ufficio, e queste arie da libera tribuna non sono che vuota affettazione. Ebbene, buona parte degli uomini si è tappata gli occhi con questa o quella benda, e si è completamente legata a qualcuna di queste congreghe d'opinione. Un tale conformismo li rende falsi non in questo o in quel particolare, autori solo di questa o di quella bugia, ma falsi in ogni cosa. Ogni loro verità non è mai del tutto vera. Il loro due non è il vero due, il loro quattro non è il vero quattro; e così, ogni loro parola ci imbarazza, e noi non sappiamo da dove cominciare per rimetterli in sesto. Nel frattempo la natura non è da meno nell'approntarci l'uniforme-prigione del partito al quale abbiamo aderito. Veniamo tutti ad assumere un unico taglio di volto e figura, e acquistiamo gradualmente la più graziosa espressione asinina del mondo. Vi è, in particolare, una mortificante esperienza che non manca anche di circolare, in generale, nella storia: parlo, cioè, dello «sciocco viso della lode», (8) di quel forzato sorriso che assumiamo in società, quando non ci sentiamo a nostro agio, come risposta a una conversazione che non ci interessa affatto. I muscoli, non messi in moto con spontaneità ma mossi da una volontà prevaricatrice, s'irrigidiscono lungo i tratti esterni del viso, provocando la più sgradevole delle sensazioni.
Per il tuo non-conformismo il mondo ti colpirà e non ti avrà in nessuna considerazione. E perciò un uomo ha da sapere che conto deve fare di una faccia acida. Per la strada o nel salotto di un amico la gente lo guarda di sbieco. Se una tale ostilità avesse la sua origine in quello stesso disdegno e in quella ostinatezza che egli prova, potrebbe benissimo tornarsene a casa con malinconica dignità; ma le facce acide o benevole della moltitudine non hanno mai causa profonda, sono indossate o dismesse come soffia il vento o come ordina un giornale. E tuttavia il malcontento di una moltitudine è più temibile di quello di un senato o di un corpo accademico. È abbastanza facile per un uomo saldo, che conosce il mondo, affrontare la rabbia delle categorie più coltivate. La loro collera è decorosa e prudente, di gente cauta, vulnerabile anch'essa. Ma quando a una tale rabbia un po' femminea si aggiunge l'indignazione popolare, quando insorgono i più incolti e i più poveri, quando la cieca forza bruta che giace nel fondo della società è spinta a ringhiare e a irridere, occorre allora l'abito della magnanimità e della religiosa reverenza per trattarla, alla maniera di un dio, come un'inezia senza importanza.
L'altro timore che ci allontana dalla fiducia in se stessi è quello di dover perdere la nostra coerenza; ci trattiene un ossequio per azioni e parole fatte o dette in passato, dato che gli occhi altrui non hanno altri elementi, per calcolare la nostra orbita, se non le nostre passate azioni, e noi siamo riluttanti a deluderli.
Ma perché dover così tenere la vostra testa sulle vostre spalle? Perché portarvi dietro questo cadavere delle vostre memorie, per il timore di smentire qualcosa che abbiate sostenuto in questo o in quell'altro pubblico luogo? Supponete di contraddirvi; e con questo? A me sembrerebbe, piuttosto, buona norma di saggezza quella di non fare esclusivo assegnamento sulla sola memoria e di farne poco, anzi, anche in atti di pura memoria; ma di trascinare in giudizio quel passato in un presente dai mille occhi e di vivere in un giorno sempre nuovo. Nelle vostre teorie metafisiche avete negato personalità alla divinità, e tuttavia quando un devoto moto dell'anima vi sorprende, cedetegli cuore e vita, anche a costo di rivestire Dio di forme e colori. Abbandonate pure le vostre teorie, così come Giuseppe lasciò la sua veste nelle mani della meretrice, e fuggite via anche voi. (9)
Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro. Dite quello che pensate ora con parole dure, e dite domani quello che il domani penserà con parole altrettanto dure, per quanto ciò possa essere in contraddizione con qualunque cosa abbiate detto oggi. «Ah, ma così sarete sicuramente fraintesi!»
- E proprio talmente un male, dunque, l'essere fraintesi? Pitagora fu frainteso, e Socrate e Gesù e Copernico e Galileo e Newton furono fraintesi, e così fu di ogni più puro e saggio spirito che abbia preso carne. Essere grandi vuol dire essere fraintesi.
Io penso che nessun uomo può violentare la sua natura. Tutte le sortite della sua volontà sono ben sorvegliate dalla legge del suo essere, così come le ineguaglianze delle Ande e dell'Himalaya diventano insignificanti nella curva della sfera terrestre. Né importa come vogliate misurarlo e metterlo alla prova. Un forte carattere è come un acrostico o come una strofe alessandrina: che sia letta dall'alto, dal basso, o di traverso, significa sempre la stessa cosa. In questa piacevole, anacoretica vita nei boschi che Dio mi concede, fate che io registri giorno per giorno ogni mio onesto pensiero senza nulla avere in prospettiva né in retrospettiva, e io non dubito che essa vi apparirà armoniosa e simmetrica, anche se io stesso non riesco bene a vederlo e ad accorgermene. Il mio libro dovrebbe profumare di pini e risuonare di ronzii d'insetti. La rondine sopra la mia finestra dovrebbe intrecciare anche nella mia trama quel filo o quella pagliuzza che porta nel becco. Noi passiamo per quello che siamo. Il carattere ci dà ammaestramenti che vanno al di là delle nostre volontà. Gli uomini immaginano di manifestare virtù e vizi solo attraverso azioni palesi, e non vedono che virtù o vizio emettono in ogni momento un loro proprio respiro.
Vi sarà come un accordo in una qualsiasi varietà di azioni, di modo che ognuna di esse sia quella appropriata e naturale nel suo momento. Derivando tutte da un'unica volontà, le azioni si armonizzeranno tra loro, per quanto dissimili possano tra loro sembrare. Tale varietà la si perde di vista, a distanza ravvicinata, a una scarsa altezza di pensiero. Una sola tendenza le unifica tutte. La rotta della migliore nave è pur sempre una linea a zig-zag fatta di centinaia di deviazioni. Ma guardate quella rotta da una certa distanza, ed essa si raddrizzerà sulla tendenza media. Una vostra azione genuina si spiegherà da sola e spiegherà altre vostre azioni genuine. Il vostro conformismo non spiegherà mai nulla, invece. Agite da voi stessi, e ciò che avete già compiuto da voi stessi vi giustificherà ora. La grandezza si appella al futuro. Se posso essere oggi così fermo da agire in modo giusto, sprezzando gli occhi fissati su di noi, devo aver già agito in tal modo in passato, tanto da ben difendermi ora. La forza del carattere è cumulativa. Tutti i passati giorni di virtù portano in questo il loro salutare contributo. Cos'è che fa la maestà degli eroi del Senato e del campo di battaglia, che riempie tanto l'immaginazione? Non altro che la consapevolezza di una sequela di grandi giorni e di vittorie alle spalle. Sono essi che spandono una luce unitaria sul protagonista che avanza. Ed è questo che mette il tuono nelle parole di Chatham, (10) e dignità nel portamento di Washington, e l'America nell'occhio di Adams. (11) L'onore ci è sacro perché non è effimero. E sempre virtù antica. Lo veneriamo oggi perché non è di oggi. Lo amiamo e gli rechiamo omaggio perché non è una trappola per la nostra dedizione e il nostro omaggio, ma dipende solo da sé, deriva da se stesso ed è perciò di vecchio immacolato lignaggio, anche se si mostra in qualcuno che sia giovane d'anni.
Io spero che non si debba più parlare in questi giorni di conformismo e di coerenza. Che siano squalificate, queste parole, e da ora in poi ridicolizzate. Al posto del gong che chiama per il pranzo, vi sia un piffero spartano a farsi udire. Non stiamo a inchinarci e non stiamo più a scusarci. Un grande sta per venire a pranzo a casa mia. Io non me ne starò a compiacerlo; vorrei anzi che fosse lui a voler compiacere me. Starò qui con benevola umanità, e per quanto io voglia far tutto con la massima cortesia, vorrei farlo anche con il massimo di verità. Affrontiamo e debelliamo la morbida mediocrità, lo squallido accontentarsi dei tempi, e lanciamo in faccia alle consuetudini e ai commerci e ai doveri il fatto, che è poi lo sbocco di tutta la storia, che vi è un grande responsabile Pensatore e Attore che opera dovunque opera un uomo, e che un uomo vero non appartiene a un altro tempo e luogo, ma è il centro delle cose. Dov'egli è, lì è la natura. Egli misura voi e gli uomini tutti e tutti gli accadimenti. Di solito ognuno in società ci ricorda qualcosa d'altro o qualche altra persona. Il semplice carattere, la realtà, non vi ricordano nient'altro: prendono il posto dell'intera creazione. L'uomo deve aver tanto in sé da rendere indifferente ogni altra circostanza. Ogni uomo vero è una causa, una nazione e un'età; richiede spazi e numeri e tempo infiniti per condurre pienamente a compimento il suo disegno; e la posterità non farà che seguire le sue orme come un corteo di clienti. Un uomo Cesare è nato, e per secoli dopo di lui abbiamo un Impero Romano. Cristo nasce, e milioni di animi maturano e si attaccano al suo genio, tanto che lo si identifica con la virtù e con tutto il possibile dell'uomo. Un'istituzione è solo l'ombra lunga di un uomo: il monachesimo, di quella dell'eremita Antonio; la Riforma, di quella di Lutero; il quaccherismo è l'ombra di Fox; il metodismo è l'ombra di Wesley; l'abolizionimo, di Clarkson. (12)
Milton definì Scipione «la vetta di Roma», (13) e tutta la storia si risolve agevolmente nella biografia di poche persone vigorose e serie.
Lasciate dunque che un uomo prenda consapevolezza del suo valore, e tenga le cose sotto i suoi piedi. Che non si aggiri gettando occhiate furtive, né vada a rintanarsi su e giù con l'aria di un trovatello, di un bastardo, di un contrabbandiere, in un mondo che esiste per lui. Ma l'uomo della strada, non riscontrando in se stesso nessun valore corrispondente al vigore che edificò una torre o che scolpì un dio nel marmo, si sente povero e meschino allorché guarda a queste cose. Per lui un palazzo, una statua, o un libro prezioso hanno un'aria estranea e proibitiva, non dissimile da quella ché avvolge una sfarzosa carrozza con cocchieri in livrea; ed è come se stessero a chiedergli: «Chi è lei, signore?». Eppure, tutto è suo, tutti sono corteggiatori che richiedono la sua attenzione, che chiedono alle sue facoltà di venire allo scoperto e di prendere possesso di ciò che gli appartiene. Il quadro attende un mio verdetto; non sarà esso a darmi ordini, ma sarò io a stabilire le sue pretese alla lode. La ben nota storia di quel beone che, prelevato ubriaco fradicio dalla strada, fu condotto nel palazzo del duca, lavato e ripulito e poi rivestito e fatto distendere nel letto del duca, e trattato, al risveglio, con ogni ossequioso riguardo, come se fosse il duca stesso, per sentirsi infine dire che s'era trattato solo di un folle sogno, (14) deve la sua popolarità al fatto che essa simboleggia perfettamente la condizione dell'uomo, che sta nel mondo un po' come un ubriaco, ma che di tanto in tanto si ridesta, esercita la sua ragione e s'accorge di essere proprio lui il vero principe.
Il nostro modo di leggere è da accattoni e da sicofanti. Nella storia, la nostra immaginazione ci porta a vedere in modo falso le cose. Regni e signorie, potere e grandi patrimoni rappresentano una fraseologia più fastosa di quanto non sianoi semplici nomi di un John e di un Edward che svolgono in una casa modesta il loro quotidiano lavoro; eppure, le cose della vita sono le stesse sia per gli uni che per gli altri; la somma totalé è la stessa per gli uni e per gli altri. Perché allora tutta questa deferenza per Alfredo e per Scanderberg e per Gustavo? (15) Diciamo che essi ebbero, certo, le loro virtù; ma esaurirono forse tutta.la virtù? Un grande risultato può dipendere da un vostro atto privato, oggi, così come ieri segui i pubblici passi di quei famosi uomini. E quando ogni privato cittadino opererà secondo le proprie originali vedute, il lustro sarà trasferito dalle azioni dei re a quelle degli uomini comuni.
Il mondo è stato ordinato dai suoi re, che hanno in tal modo magnetizzato gli occhi delle nazioni. E da questo colossale simbolo è stata trasmessa la muta riverenza che l'uomo deve all'uomo. Il soddisfatto lealismo col quale gli uomini hanno dunque tollerato che il re, il nobile o il grande proprietario si aggirassero fra loro con leggi esclusive e che imponessero, contro quella degli altri, una loro propria scala di valutazione, e pagassero, per i benefici, non con denaro ma con cariche e onori, rappresentando la legge stessa nelle loro persone, era il geroglifico con cui essi confusamente testimoniavano la loro coscienza del loro diritto e della loro dignità, il diritto di ciascun uomo.
Il magnetismo esercitato da ogni autentica azione si spiega allorché cerchiamo le ragioni della fiducia in se stessi. Chi è il Fiduciario? Che cos'è l'Io originario, su cui una fiducia universale può aver fondamento? Qual è la natura e quale il potere di quella stella che confonde ogni scienza, senza parallasse, priva di elementi calcolabili, che manda raggi di bellezza anche nelle azioni più ordinarie e più spurie, se solo vi appaia il minimo marchio di indipendenza? La nostra ricerca ci conduce a quella fonte che è tutt'insieme l'essenza del genio, della virtù e della vita, e che chiamiamo Spontaneità o Istinto. Qualifichiamo questa primaria saggezza come Intuizione, mentre tutti i successivi insegnamenti sono tuizioni. In quella forza profonda, dietro la quale l'analisi non può andare, tutte le cose trovano la loro comune origine. Giacché quel senso di esistenza che nelle ore più pacate sorge in noi, non sappiamo come, non è diverso dalle cose, dallo spazio, dalla luce, dal tempo, dall'uomo, ma è tutt'uno con tutto ciò che procede, chiaramente, dalla fonte stessa da cui procedono il loro vivere e il loro esistere. Noi, dapprima, partecipiamo dell'essenza vita-le in virtù della quale le cose esistono, e poi vediamo queste cose come apparenze nella natura, e dimentichiamo che abbiamo partecipàto della loro causa prima. Qui è la sorgente dell'azione e del pensiero. Qui sono i polmoni di quella inspirazione che dà all'uomo saggezza e che non può essere negata senza cadere nell'empietà e nell'ateismo. Stiamo nel grembo di un'immensa intelligenza, che ci fa ricevitori della sua verità e organi della sua attività. Quando riusciamo a discernere ciò che è giusto, quando riusciamo a discernere ciò che è vero, non facciamo altro, da parte nostra, che permettere ai suoi raggi di passare. Se poi chiediamo da dove tutto questo provenga, se cerchiamo di penetrare nell'anima che ne è la causa, ogni filosofia si dichiara in difetto. Che sia presente o assente è tutto quello che possiamo affermare. Ognuno distingue tra gli atti volontari che compie e le sue percezioni involontarie, e sa che alle sue percezioni involontarie è dovuta la massima fede. Può sbagliare nell'esprimerle, ma sa bene che queste cose sono così, come il giorno e la notte, e non possono esser messe in questione. Le mie azioni premeditate e le mie acquisizioni sono erratiche: la più pigra fantasticheria, la più labile emozione naturale attirano, da parte mia, curiosità e rispetto. La gente irriflessiva contraddice altrettanto prontamente le affermazioni derivanti sia dalle percezioni che dalle opinioni, e ciò, anzi, con ancor maggiore prontezza, poiché non distingue tra percezione e nozione. Si pensa che sia io a scegliere di vedere questo o quello. Ma la percezione non ha nulla di capriccioso, ha invece carattere di necessità. Se ne scorgerò qualche tratto, anche i miei figli lo vedranno dopo di me, evia via tutta l'umanità, benché possa darsi che nessuno l'abbia mai visto prima di me. Giacché, appunto, la percezione che ne ho è un fatto indiscutibile nello stesso modo in cui lo è il sole.
Sono così netti e puri i rapporti dell'anima con lo spirito divino, che sarebbe sacrilego ogni tentativo di interporre ulteriori sforzi. Il fatto è che quando Dio parla, dovrebbe comunicare non una sola cosa, ma tutte le cose insieme; dovrebbe riempire il mondo della sua voce; dovrebbe spargere intorno a sé luce, natura, tempo, anime, dal centro del pensiero in atto; e nuovamente datare e ricreare il tutto. Ogni volta che una mente si fa semplice e riceve in sé la divina saggezza, tutte le vecchie cose passano via: strumenti, precettori, testi, templi, tutto crolla; essa vive ora, nel presente, e assorbe passato e futuro nel momento presente. Ogni cosa è resa sacra dal suo rapporto con essa, l'una o l'altra. Tutte le cose sono dissolte, dalla loro causa, nel loro centro, e nell'universale miracolo si dileguano i miracoli particolari e più ordinari. Se, a questo punto, qualcuno pretende di conoscere Dio e di parlarne riportandovi alla fraseologia di qualche vecchia decrepita nazione in estranea terra, in altro mondo, voi non credetegli. È forse la ghianda superiore alla quercia, che ne è la pienezza e il compimento? È il genitore migliore del figlio nel quale ha versato la piena maturità del suo essere? Da dove proviene allora questa adorazione del passato? I secoli cospirano contro l'energia e l'autorevolezza dell'anima. Tempo e spazio non sono che colorazioni psicologiche che fa l'occhio, ma l'anima è luce: dov'essa è, li è il giorno; dov'essa non è più, lì è la notte; e la storia sarebbe impertinenza e ingiuria se volesse essere qualcosa di più di un piacevole apologo o di una parabola del mio essere e del mio divenire.
L'uomo è timido e sta troppo a scusarsi; non sta più saldo e diritto; non osa dire «io penso», «io sono», ma passa a citare qualche santo o qualche filosofo. Si vergogna di fronte a un filo d'erba o a una rosa che sboccia. Queste rose sotto la mia finestra non stanno a far riferimenti a precedenti o a migliori rose; sono ciò che sono; esistono insieme con Dio nell'oggi. Il tempo non esiste per loro. Vi è semplicemente la rosa: perfetta in ogni momento del suo esistere. Prima che un solo bocciolo si sia dischiuso, la sua vita è già tutta in atto; nel fiore interamente sbocciato non ve n'è di più; nella spoglia radice non ve n'è di meno. La sua natura è pienamente soddisfatta ed essa soddisfa parimenti la natura, in ogni momento. L'uomo invece pospone o ricorda; non vive nel presente in atto, ma con l'occhio rivolto all'indietro sta a rimpiangere il passato, oppure, incurante delle ricchezze che lo circondano, si solleva in punta di piedi a prevedere il futuro. Non potrà essere felice e forte finché non viva anche lui con la natura nel presente, al di sopra del tempo.
Questo dovrebbe essere abbastanza chiaro. Eppure, guardate quanti forti intelletti non osano ancora ascoltare Dio direttamente, a meno che egli non parli attraverso la fraseologia di non so qual Davide, o Geremia, o Paolo. Ma non staremo sempre a fondare un così alto valore su alcuni pochi testi, su alcune poche vite. Siamo come fanciulli che meccanicamente ripetono le frasi di nonne e tutori e, via via che crescono, degli uomini di talento e di carattere che abbiano modo di conoscere, sforzandosi di ricordare le esatte parole da quelli pronunciate; ma più tardi, quando saranno entrati nello stesso punto di vista di coloro che esprimevano quei detti' ne avranno piena comprensione e vorranno allora lasciar perdere le parole, giacché saranno ormai in grado ogni volta, all'occasione, di usarne di altrettanto efficaci. Se viviamo in sincerità, vedremo ogni cosa con sincerità. È facile per l'uomo forte esser forte, così come per il debole esser debole. Quando possederemo la nuova percezione, saremo lieti di alleggerire la nostra memoria di tutto il cumulo dei suoi tesori come di vecchie cianfrusaglie. Se uno vive con Dio, la sua voce si farà dolce come il mormorio del ruscello e il brusio del grano.
E ora, infine, resta ancora non detta la verità più alta a proposito di questo argomento; probabilmente, non potrà mai essere detta, giacché tutto quello che noi diciamo è soltanto il remoto ricordo dell'intuizione originaria. Il pensiero col quale potrei quanto meno avvicinarmi ad essa, quanto più è possibile, è questo. Quando il bene è nelle tue vicinanze, quando hai la vita in te stesso, ciò non avviene attraverso le comuni e abituali vie; tu non scorgerai le impronte di nessun altro; non vedrai faccia d'uomo; non udrai il nome di nessuno: il modo, il pensiero, il bene, tutto sarà completamente inconsueto e nuovo; escluderà esempi ed esperienze. Prenderai la via che si allontana dall'uomo, non quella che porta all'uomo. Tutte le persone che sempre esistettero sono, di quell'altissima verità, gli obliati ministri. Timore e speranza sono parimenti al di sotto di essa. Vi è qualcosa di basso persino nella speranza. Nell'ora della visione nulla vi è che possa definirsi gratitudine, e neanche propriamente gioia. L'anima che si è innalzata al di sopra della passione contempla l'identità e l'eterna casualità, percepisce l'esistenza di Vero e Giusto, e si placa nella consapevolezza che tutto procede nel modo migliore. Vasti spazi di natura, l'Oceano Atlantico, il Mare del Sud; lunghi intervalli di tempo, di anni, di secoli, non contano più nulla. Questo che penso e sento fu alla base di ogni precedente stato di vita e di circostanze, così come ora è alla base del mio presente in atto e di ciò che si chiama vita e di ciò che si chiama morte.
 
Ciò che importa è la vita, non l'aver vissuto. L'energia cessa nel momento in cui si posa; essa si concentra nel momento di transizione da un passato a un nuovo stato, nel superare un abisso, nel mirare a uno scopo. C'è una cosa che il mondo particolarmente ha in odio, il fatto cioè che l'anima diviene; poiché ciò degrada per sempre il passato, volge le ricchezze in povertà, ogni reputazione in vergogna, confonde il santo col briccone, spinge dalla stessa parte sia Gesù che Giuda. Perché allora discorriamo di fiducia in se stessi? Nella misura in cui l'anima è presente, vi sarà un'energia non fiduciosa ma agente. Parlare di fiducia è un misero modo esteriore di dire. Parlate piuttosto di ciò che dà fiducia in quanto opera ed esiste. Chi ubbidisce più di me è padrone di me, pur senza alzare me pur senza alzare neppure un dito. Intorno a lui dovrò girare per effetto della legge di gravitazione spirituale. Quando parliamo di eminente virtù pensiamo che si tratti di un'espressione retorica. E non vediamo che virtù è Altezza, e che un uomo o una società d'uomini, plastici e permeabili ai principi, devono per legge di natura dominare e cavalcare città, nazioni, re, ricchi, poeti, che tali non siano.
Ed è questo il fatto ultimo al quale rapidamente perveniamo a questo proposito, così come per ogni altro argomento: alla conclusione che tutto si risolve insomma nel sempre-beato UNO. L'autoesistenza è l'attributo della Suprema Causa, e costituisce la misura del bene a seconda del grado in cui entra in ogni forma inferiore. Tutte le cose reali sono tali per quel tanto di virtù che contengono. Commercio, condizione familiare, caccia, spedizioni di baleniere, guerra, eloquenza, peso personale, rappresentano qualcosa, ed esigono il mio rispetto come esempi della sua presenza e di un'impura azione. Vedo che la stessa legge opera in natura sia per la conservazione che per la crescita. La natura non tollera niente nei suoi regni che non sappia sostenersi da sé. La genesi e maturazione di un pianeta, la sua posizione e la sua orbita, l'albero piegato che si raddrizza dopo il forte colpo di vento, le risorse vitali di ciascun animale e vegetale, sono dimostrazioni dell'anima che basta a se stessa e che è pertanto fiduciosa in se stessa. (x)
Così, tutto si concentra. Non andiamocene errando di qua e di là; stiamocene seduti in casa in compagnia della Causa. Lasciamo confusa e stupefatta la calca invadente di uomini e di libri e di istituzioni con un semplice riconoscimento, da parte nostra, del fatto divino. E ordinate a questi invasori di togliersi le scarpe, giacché Dio è qui dentro. (16) Che sia la nostra docilità a giudicarli, e sia la nostra docilità alla nostra propria legge a dimostrare quanto povere siano natura e fortuna in confronto con le nostre più genuine ricchezze.
Ma ora siamo una massa. L'uomo non ha rispetto per l'uomo, né lo ammonisce perché resti a casa sua, per porsi in comunicazione con l'oceano interiore; se ne va in giro, invece, a chiedere una tazza d'acqua dalle urne di uomini estranei. Dobbiamo camminare da soli. Io amo la chiesa silenziosa, prima che abbiano inizio le funzioni, più di ogni predica. Come lontane, fresche e caste ci appaiono le persone, ognuna come cinta da un sacro spazio! Così restiamocene sempre. Perché dovremmo assumerci le colpe di un amico, o della moglie, o del padre, o del figlio, solo perché siedono intorno al nostro focolare, o perché hanno, come si dice, lo stesso sangue? Tutti gli uomini hanno il mio sangue, e io ho quello di tutti gli uomini. Non per questo adotterò la loro petulanza o follia, fino al punto di dovermene vergognare. Il vostro isolarvi non dev'essere però meccanico, ma spirituale, dev'essere cioè un'elevazione. Sembra talvolta che il mondo tutto stia cospirando per importunarvi con enfatiche inezie. L'amico, il cliente, il figlio, la malattia, il timore, il bisogno, la carità, tutti bussano d'improvviso alla porta del tuo rifugio e dicono: «Vieni fuori da noi». Ma tu, tieni duro; non mescolarti nella loro confusione. Il potere che gli uomini hanno di infastidirmi io lo ricambio con una ben labile curiosità nei loro riguardi. Nessun uomo può accostarsi a me se non attraverso un mio atto. «Noi abbiamo quel che amiamo, ma col desiderare ci priviamo dell'amore.»
Se non possiamo tutto d'un colpo sollevarci alla santità dell'obbedienza e della fede, cerchiamo almeno di resistere alle nostre tentazioni; decidiamoci a entrare in uno stato di guerra, a ridestare Thor e Wotan, il coraggio e la tenacia, nei nostri cuori sassoni. (17) In questi nostri tempi così morbidi, ciò non si può fare solo parlando il linguaggio della verità. Frenate queste bugiarde ospitalità, queste bugiarde affettazioni. Non state a vivere nell'attesa di questa gente delusa e deludente con cui ci intratteniamo. Diciamo loro: «O padre, o madre, o moglie, o fratello, o amico, ho vissuto finora con te solo secondo le apparenze. D'ora in avanti voglio appartenere alla verità. Sappiate che da ora in avanti non intendo ubbidire ad altra legge che non sia la legge eterna. Non avrò altri obblighi che quelli della prossimità. Mi sforzerò di nutrire i miei genitori, di sostenere la mia famiglia, di essere il casto sposo di una sola moglie: ma questi rapporti devo ora soddisfarli in modo nuovo e inconsueto. Mi appello contro i vostri comportamenti. Io devo essere me stesso. Non posso più dividere me stesso per te, o per te. Se potete amarmi per quello che sono, ne saremo tutti felici. Se non potete, cercherò, ancora, di meritare che lo possiate. Non nasconderò più predilezioni e avversioni. Tanto confiderò in ciò che è profondo e sacro, che farò apertamente, davanti al sole e alla luna, tutto quanto dentro di me, mi darà gioia e il cuore mi suggerirà. Se sarete nobili, vi amerò; se non lo sarete, non infastidirò più voi e me stesso con ipocrite attenzioni. Se siete altrettanto sinceri, ma non condividete la mia verità, aggregatevi ai vostri compagni; io cercherò i miei. Ciò faccio non per egoismo, ma con umiltà e spirito di verità. Ed è ugualmente nel vostro interesse, e nel mio, e nell'interesse di tutti gli uomini, per quanto a lungo possiamo aver abitato tra le menzogne, vivere con spirito di verità. Suona aspro, oggi, tutto questo? Presto amerete ciò che è dettato dalla vostra natura, così come dalla mia, e se tutti seguiremo una tale verità, essa ci condurrà fuori sani e salvi, alla fine. Ma in tal modo tu farai soffrire questi tuoi amici. Sì, ma io non posso vendere la mia libertà, le mie possibilità per salvare la loro suscettibilità. E inoltre, tutti hanno i loro momenti di ragione, non appena si sia volto lo sguardo verso la regione dell'assoluta verità; allora, essi mi giustificheranno e faranno altrettanto.
La comune massa crede che il vostro rifiuto di criteri correnti sia un rifiuto di ogni criterio, che sia un atteggiamento assolutamente antinomiano: (18) e così proprio il materialista più insolente si servirà della veste filosofica per indorare i suoi crimini. Ma la legge della coscienza resta ben salda. Vi sono due confessionali, e in uno dei due dobbiamo essere assolti. Puoi adempiere al tuo giro di doveri facendo luce in te stesso in un modo diretto o in un modo riflesso. Considera se hai soddisfacentemente coltivato i tuoi rapporti col padre, con la madre, col cugino, col vicino, con la città, con il gatto e con il cane, se nessuno di loro può farti un rimprovero. Ma io posso benissimo trascurare un tale criterio riflesso e assolvermi da me stesso. Ho le mie proprie severe esigenze, il mio perfetto cerchio. Il quale nega il nome di dovere a molti degli obblighi che sono chiamati doveri. Se riuscirò ugualmente a saldare i miei debiti, ciò mi dispenserà dal seguire il codice corrente. Ma se qualcuno immagina che questa mia legge abbia maglie un po' troppo larghe, fate in modo che egli stia ai suoi ordini anche per un giorno solo.
E in effetti essa richiede qualcosa di semidivino in colui che, rigettati i comuni motivi d'umanità, si è avventurato a confidare in se stesso come maestro e guida.
Alto sia il suo cuore, fidente la sua volontà, chiara la sua vista, così che egli possa veramente, nel modo più serio, essere per se stesso dottrina, società, legge, e il semplice proposito sia, per lui, forte come lo è la ferrea necessità per gli altri!
Se qualcuno considerasse gli attuali aspetti di quella che è chiamata, per distinzione, società, si renderebbe conto, certamente, della necessità di una tale etica. E come se ci avessero ormai strappato muscoli e cuori, e siamo diventati timorosi di tutto, disperati e piagnoni. Abbiamo paura della verità, paura della morte, e paura l'uno dell'altro. La nostra epoca non offre esempi di personalità grandi e perfette. Avvertiamo la carenza di uomini e donne capaci di rinnovare la vita e il nostro stato sociale, e vediamo invece che, per la maggior parte, le persone sono insolventi, incapaci di soddisfare le loro esigenze, e hanno ambizioni del tutto sproporzionate alla loro forza reale, e s'appoggiano e stanno continuamente a chiedere, giorno e notte. La nostra conduzione domestica è da accattoni; le nostre arti, le nostre occupazioni, i nostri matrimoni, la nostra religione, non li abbiamo scelti noi, ma la società li ha scelti per noi. Siamo soldatini da salotto. Fuggiamo le ruvide battaglie del fato, che sono la culla di un'autentica energia.
Se i nostri giovani sbagliano in qualche loro prima iniziativa, perdono immediatamente coraggio. Se il giovane mercante fallisce, tutti dicono che è rovinato. Se il più brillante ingegno studia in una delle nostre università e l'anno successivo non si è ancora installato in un ufficio al centro o nei sobborghi di Boston o di New York, sembrerà agli amici e a lui stesso che vi siano buoni motivi per scoraggiarsi e compiangersi per tutto il resto della vita. Un qualsiasi risoluto giovanotto del New Hampshire o del Vermont, che tenta un po', via via, tutte le attività, che attacca il cavallo, coltiva, e vende in giro, apre una scuola, fa il predicatore, dirige un giornale, si fa eleggere deputato, si compra una cittadinanza, e così via, lungo il seguito degli anni, e sempre cade in piedi come un gatto, vale almeno cento di questi bellimbusti di città. Quel giovanotto procede col passo dei suoi giorni e non prova nessuna vergogna per non «aver studiato per una professione», giacché egli non posticipa la sua vita, ma la vive già. Ha non una sola possibilità, ma cento possibilità. Si faccia avanti uno stoico a rivelare le umane risorse e a dire agli uomini che essi non sono salici bisognosi di appoggiarsi, ma possono e devono far da sé; e che con l'esercitare la fiducia in se stessi, nuovi poteri verranno alla luce; che un uomo è la parola fatta carne, (19) nato per diffondere guarigione e salute per le nazioni; che dovrebbe vergognarsi della nostra compassione, e che nel momento in cui egli incomincerà ad agire da sé, gettando via dalla finestra leggi, libri, idolatrie e costumanze, non avremo più commiserazione per lui, ma gratitudine e rispetto; giacché un tale maestro riporterà a splendore la vita dell'uomo e renderà caro il suo nome alla storia universale.
È facile dedurne che una più intensa fiducia in se stessi provocherà una rivoluzione in ogni campo e aspetto delle relazioni umane: nella religione, nell'educazione, nei proponimenti, nei modi di vivere e di associarsi, nell'uso dei beni, nelle finalità speculative.
1. A quali preghiere si affidano gli uomini! Quella che essi definiscono un pio dovere non ha nulla di coraggioso né di dignitoso. E una preghiera che guarda, si potrebbe dire, verso l'esterno e sta a richiedere un qualche apporto estraneo che dovrebbe arrivare fino a noi attraverso una virtù anch'essa estranea, finendo col perdersi in interminabili labirinti di naturale e soprannaturale, di mediazioni e di miracolosità. Una preghiera che sta a implorare un vantaggio particolare, qualcosa che non sia tutto il bene, è già viziata. La preghiera è la contemplazione dei fatti della vita dal più alto dei punti di vista. È il soliloquio di un'anima contemplante e giubilante. È lo spirito di Dio che dichiara buone le sue opere. (20) La preghiera pensata, invece, come un mezzo per realizzare un fine personale è una meschinità, è un furto. Suppone un dualismo e non una unità in natura e nella coscienza. Non appena l'uomo sarà tutt'uno con Dio, non pregherà più. Vedrà la preghiera in ogni atto. La preghiera dell'agricoltore che, in ginocchio, sta a sarchiare il suo campo, la preghiera del vogatore che, in ginocchio, dà un colpo fermo al suo remo, sono vere e proprie preghiere risonanti per tutta la natura, anche se per modeste finalità. Caratach, nella Bonduca di Fletcher, allorché viene ammonito a non trascurare di scrutare nella mente del dio Audate, così replica:

 
Il suo celato significato sta nei nostri sforzi,
i nostri valorosi atti sono i nostri migliori dei.
 

Un'altra specie di false preghiere è costituita dai nostri rimpianti. La scontentezza è mancanza di fiducia in se stessi, è infermità del volere. Deplorate pure le calamità se potete con questo dare un aiuto a chi ne è vittima; altrimenti, badate al vostro lavoro e già s' incomincia a porre un rimedio al male. La nostra simpatia è anch'essa di bassa lega. Ci accostiamo con aria sciocca a quelli che piangono e sediamo e gemiamo insieme a loro, invece che trasmettere ad essi verità ed energia con rudi scosse elettriche, cercando di rimetterli in comunicazione con la loro propria essenza. Il segreto della fortuna sta nella gioia che abbiamo tra le mani. E sempre caro agli dei e agli uomini colui che si aiuta da sé. Per lui si spalancano tutte le porte; ogni lingua lo saluta, ogni onore l'incorona, ogni occhio lo segue con desiderio. Il nostro amore gli va incontro e lo abbraccia perché non ha avuto bisogno di noi. Con sollecitudine e con deferenza lo carezziamo e lo celebriamo perché ha proceduto per la sua strada sdegnando la nostra disapprovazione. Gli dei lo amano perché gli uomini lo hanno odiato. «Al mortale perseverante» disse Zoroastro «i beati Immortali sono benevoli.» (21)

Così come le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà, le loro credenze sono una malattia dell'intelletto. Essi dicono, insieme con quegli stolti Israeliti: «Non ci parli Iddio, altrimenti ne moriremo. Parla tu, parli un qualsiasi uomo a noi, e noi gli ubbidiremo». (22) Dovunque mi si frappongono difficoltà a incontrare Dio nel mio fratello, perché egli ha serrato le porte del suo tempio e recita soltanto le favole del Dio di suo fratello o del Dio del fratello di suo fratello. Ogni mente nuova è una classificazione nuova. Se si tratta di una mente di non comune attività e vigore, un Locke, un Lavoisier, un Hutton, un Bentham, un Fourier, (23) essa impone la sua nuova classificazione ad altri uomini, ed ecco!, un nuovo sistema prende origine: che sarà accolto in proporzione sia alla profondità del pensiero, sia al numero di aspetti che riuscirà a toccare e a convogliare nel campo di osservazione del discepolo. Ma questo appare principalmente evidente nelle credenze religiose e nelle chiese, che sono anch'esse classificazioni di qualche mente possente che agisce sull'elementare senso del dovere e del rapporto dell'uomo con l'Altissimo. Così sono il calvinismo, il quaccherismo, il swedenborghismo. (24) Il discepolo, nel subordinare ogni cosa alla nuova terminologia, prova lo stesso piacere della ragazza che ha appena imparato la botanica e vede, grazie ad essa, una nuova terra e nuove stagioni. Avverrà che per un certo tempo il discepolo riscontrerà che il suo vigore intellettuale si è accresciuto attraverso lo studio del pensiero del suo maestro. Ma nelle menti meno equilibrate la nuova classificazione viene idolatrata, diventa il fine e non il mezzo anch'esso rapidamente esaustibile, di modo che le mura del sistema tendono a confondersi davanti ai suoi occhi, sul lontano orizzonte, con le mura stesse dell'universo; e le grandi luminarie del cielo appariranno, a tali menti, come sospese sull'arco che il loro maestro ha innalzato. Non riescono a immaginare come voi, estranei, possiate aver diritto a guardare, come osiate guardare: «Evidentemente, ci avete rubato la luce, in un modo o nell'altro». Non si sono ancora resi conto che una luce non sistematica, indomabile, irromperà in ogni capanna, anche nella loro. Lasciamoli perciò cinguettare ancora per poco e credere che quella luce appartenga soltanto a loro. Se sono onesti operano bene, tra non molto il loro recinto tutto nuovo e pulito diventerà troppo basso e angusto, comincerà a scricchiolare e a pencolare, marcirà e si disintegrerà, e quell'immortale luce, giovane e gioiosa, con milioni di sfere e milioni di tinte s'irradierà sull'universo così come nel primo mattino.
2. È per carenza di autoformazione che la superstizione del Viaggiare, i cui idoli sono l'Italia, l'Inghilterra, l'Egitto, conserva il suo fascino per ogni americano colto. E, tuttavia, coloro che resero l'Inghilterra, l'Italia, o la Grecia venerabili all'immaginazione, fecero ciò standosene ben piantati là dov'erano, come un asse terrestre. Nei momenti più fermi sentiamo tutti che il dovere è tutt'uno con il nostro posto. L'anima non è viaggiatrice; il saggio se ne sta a casa, e quando una necessità, o i suoi doveri in qualche occasione lo chiamano fuori, o in paesi stranieri, è a casa sua anche lì e farà a tutti capire, con l'espressione del suo comportamento, che egli va, come missionario di saggezza e virtù, a visitare città e persone da sovrano, e non come un intruso o come un valletto.

Io non ho nessuna gretta prevenzione contro la circumnavigazione del globo per scopi d'arte, di studio e di generosa disposizione d'animo, purché uno si sia dapprima ben addomesticato, o non vada fuori con la speranza di trovar qualcosa di superiore a quanto già conosce. Chi poi viaggia per diletto o per procurarsi qualcosa che non porta già con sé, viaggia fuori da se stesso, e invecchia, per quanto giovane sia, tra vecchie cose. A Tebe, a Palmira, la sua volontà e intelligenza invecchiano e si sgretolano come quelle città stesse. Aggiunge rovine a rovine.
Il viaggiare è un paradiso per gli sciocchi. Già i nostri primi viaggi ci rivelano quanto poco possano i luoghi. A casa io sogno che a Napoli, a Roma, potrei inebriarmi di bellezza, liberarmi della mia malinconia. Preparo allora il mio baule, abbraccio gli amici, m'imbarco, attraverso il mare, e infine mi sveglio a Napoli, e lì accanto a me, ecco ancora la dura realtà, il mio triste io, inattaccabile, identico, dal quale ero fuggito via. Visito il Vaticano, i palazzi. Mostro d'inebriarmi di visioni e suggestioni, ma non sono affatto inebriato. Il mio gigante viene con me dovunque io vada.
3. Ma la frenesia dei viaggi è un sintomo di una più profonda insanità, che ha colpito l'intera sfera dell'azione intellettuale. L'intelletto ama vagabondare, e il nostro sistema educativo incoraggia l'irrequietezza. Le nostre menti vanno vagando mentre i nostri corpi sono costretti a starsene in casa. Non facciamo che imitare, e che cos'è l'imitazione se non un viaggiare della mente? Le nostre càse sono edificate secondo un gusto straniero; i nostri scaffali sono guarniti di ornamenti stranieri; le nostre opinioni, i nostri gusti, le nostre facoltà cercano appoggi, si mettono dietro al Passato e al Lontano. L'anima creò le arti dovunque esse siano fiorite. Fu nella sua mente che l'artista ricercò il suo modello: e applicando poi la sua idea alla cosa da farsi e alle condizioni che andavano osservate. E perché dovremmo noi copiare il modello dorico o quello gotico? Bellezza, grazia, grandiosità di idee, espressione estrosa sono vicini a noi così come a chiunque altro, e se l'artista americano studierà con speranza e amore le precise cose che devono essere fatte da lui, in relazione con il clima, il suolo, la durata del giorno, i bisogni del popolo, la forma e le consuetudini di governo, egli innalzerà una casa nella quale tutte queste cose si ritroveranno perfettamente adeguate, e anche gusto e sentimento ne saranno soddisfatti.
Insisti su te stesso; non star mai ad imitare. In ogni momento potrete presentare il vostro proprio dono con la forza accumulata della dedizione di tutta una vita; mentre, invece, del talento che hai preso a prestito da un altro hai solo un'estemporanea e dimezzata padronanza. Ciò che ognuno può fare al meglio nessuno può insegnarglielo se non il suo Fattore. Nessuno sa che cosa sia, né può saperlo, finché non l'abbia estrinsecato. Dov'è il maestro che può aver dato insegnamenti a Shakespeare? Dov'è il maestro che può aver istruito Franklin, o Washington, o Bacone, o Newton? Ogni uomo grande è unico. Lo scipionismo di Scipione è precisamente quella parte che egli non poté avere in prestito da nessuno. Né Shakespeare sarà mai ricreato con lo studio di Shakespeare. Fa' quello che ti è assegnato, e non dovrai sperare né osare di più. Vi è, in questo momento, per te una possibilità di espressione ardita e grandiosa, come quella dello scalpello colossale di Fidia, o della cazzuola degli Egiziani, o della penna di Mosè o di Dante, e tuttavia differente da queste. Né sarebbe mai possibile che l'anima, così ricca, così eloquente, con una lingua dalle mille punte, accondiscenda a imitare se stessa; ma se puoi udire quel che dicono questi patriarchi, certamente riuscirai a rispondere ad essi con lo stesso vibrante tono: giacché l'orecchio e la lingua sono due organi di una sola natura. Abita nelle nobili e nitide regioni della tua vita, obbedisci al tuo cuore, e riprodurrai il Mondo Originario.


4. Come la Religione, l'Educazione, l'Arte guardano al di fuori, così fa anche il nostro spirito sociale. Tutti si fanno vanto dei progressi della società, ma nessuno progredisce.
Non esiste avanzamento della società. Essa perde prontamente da un lato quello che guadagna dall'altro. Ed è soggetta a continui mutamenti: è barbarica, civilizzata, cristianizzata, è ricca, è scientifica; ma il mutamento non significa miglioramento. Per ogni cosa data qualcosa è tolto. La società acquisisce nuove arti e perde vecchi istinti. Quale contrasto tra l'americano ben vestito, che sa leggere, scrivere, pensare, fornito di orologio, di matita e di una lettera di cambio in saccoccia, e il neozelandese nudo, i cui unici beni consistono in una mazza, in una lancia, in una stuoia e in un indivisibile ventesimo di tettoia sotto cui dormire! Ma confrontate lo stato di salute fisica di entrambi, e vedrete che l'uomo bianco ha perduto il suo vigore originario. Se i viaggiatori raccontano il vero, la ferita inferta a un selvaggio con un colpo d'ascia, è già rimarginata e risanata dopo un giorno o due, mentre il medesimo colpo spedirebbe il bianco direttamente nella tomba.
L'uomo civilizzato ha costruito carrozze e vetture, ma ha perduto l'uso dei suoi piedi. Si appoggia alle stampelle, ma gli viene meno, spesso, il sostegno dei muscoli. Ha un prezioso orologio svizzero, ma non possiede più la capacità di dire l'ora guardando il sole. Ha con sé un almanacco nautico di Greenwich, e così, sicuro di poter disporre, all'occorrenza, di ogni informazione, l'uomo della strada non sa più riconoscere in cielo nemmeno una stella. Non osserva più il solstizio; conosce appena l'equinozio; e tutto l'immenso calendario luminoso dell'anno non ha un quadrante nella sua mente. I suoi taccuini gli indeboliscono la memoria; le sue biblioteche gli sovraccaricano l'intelletto; le agenzie di assicurazione accrescono il numero degli incidenti, e ci si potrebbe chiedere se le macchine non costituiscano un ingombro; se non abbiamo perduto, a furia di raffinarci, una parte d'energia e, a causa di un cristianesimo arroccato in forme e istituzioni stabilizzate, una parte del vigore e di più selvatiche virtù. Giacché ogni stoico era uno stoico; ma tra i cristiani, dov'è il cristiano?
Non vi è, a livello morale, un maggior numero di deviazioni che a livello di altezza o di volume. Non vi sono oggi uomini più grandi di quanti ve ne fossero in passato. Una singolare parità può essere osservata tra i grandi uomini delle prime e delle ultime epoche, né tutta la scienza e l'arte e la religione e la filosofia del diciannovesimo secolo valgono a formare uomini che siano più grandi degli eroi di Plutarco, ventitré o ventiquattro secoli fa. Non è nel tempo che la razza umana progredisce. Focione, Socrate, Anassagora, Diogene, sono uomini grandi, ma non hanno lasciato il loro stampo. Chi è realmente del loro stampo non porterà i loro nomi, ma apparterrà esclusivamente a se stesso, e sarà a sua volta il fondatore di un'altra scuola. Le arti e le invenzioni di ciascun periodo ci offrono soltanto, di quel periodo, i costumi e le consuetudini, ma non trasmettono il vero vigore all'uomo. Il danno causato dal progresso meccanico può compensarne i vantaggi. Hudson e Behring ottennero tali risultati con i loro semplici battelli da pesca da far meravigliare Parry e Franklin, (25) il cui equipaggiamento esauriva tutte le risorse della scienza e dell'arte. Galileo scopri con un cannocchiale da teatro la più splendida serie di fenomeni celesti di quante mai ve ne fossero state prima. Colombo scoprì il Nuovo Mondo con una nave priva di ponte. È curioso osservare il periodico venir meno e sparire di strumenti e macchine che erano stati introdotti con alte lodi pochi anni o secoli prima. Il grande genio ritorna all'uomo essenziale. Noi annoveravamo i progressi dell'arte bellica fra i trionfi della scienza, e tuttavia Napoleone conquistò l'Europa con il bivacco, cioè ritornando al nudo valore militare e scaricandolo di ogni accessorio. L'imperatore riteneva impossibile approntare un perfetto esercito, dice Las Cases, (26) «senza abolire armi, depositi, commissari e carriaggi, finché il soldato non avesse ricevuto, a imitazione del costume romano, la porzione di grano da macinare nel suo mortaio e non si preparasse da sé il proprio pane».
La società è come un'onda. L'onda si muove in avanti, ma resta immobile la massa d'acqua di cui essa è composta. La stessa particella non s'innalza dal fondo fino alla cima. La sua unità è solo fenomenica. Molte persone che compongono oggi una popolazione saranno morte nel prossimo anno, e la loro esperienza morirà con esse.
Anche la fiducia nella proprietà dei beni, inclusa la fiducia nei governi che la proteggono, è indice di carenza di fiducia in se stessi. Gli uomini hanno per tanto tempo distolto lo sguardo da se stessi, volgendolo alle cose, che sono ora giunti a considerare le istituzioni religiose, civili ed educative come guardiani della proprietà privata, e deprecano ogni assalto a tali istituzioni in quanto lo avvertono innanzi tutto come assalto alla proprietà. Misurano la reciproca stima in base a quello che ognuno possiede, e non in base a quello che ognuno è. Ma un uomo consapevole prova un senso di disagio riguardo ai suoi beni, che nasce dal nuovo rispetto che ha per la sua natura. Egli ha in odio ciò che possiede soprattutto se vede che è soltanto frutto del caso, se è venuto a lui per eredità, o donativo, o crimine; egli sente allora che quello non è vero possesso, che non appartiene a lui, che non ha radici in lui e sta lì solo perché nessuna rivoluzione o nessun predone l'ha portato via. Ma ciò che, invece, un uomo è, lo acquisisce sempre per intrinseca necessità; e quello che l'uomo acquista in tal modo, è proprietà vivente, che non aspetta nessun cenno di governanti, o di folle, o di rivoluzioni, o di incendi, o di tempeste, o di bancarotte, ma perpetuamente si rinnova dovunque l'uomo respiri. «La tua sorte, la tua parte di vita» disse il califfo Ali «vanno in cerca di te; perciò cessa tu dal cercarle.» (27) Ed è la nostra dipendenza da tali beni esterni che ci conduce al nostro servile rispetto per i numeri. I partiti politici si radunano spesso in assemblee; più grande è l'afflusso e più strepitoso è l'annuncio: «La delegazione dell'Essex! I democratici del New Hampshire! I liberali del Maine!». E il giovane patriota si sente più forte, rispetto a prima, di un altro migliaio di occhi e di braccia. Allo stesso modo, i riformatori tengono le loro convenzioni e votano e prendono decisioni in massa. Non così, o amici! Il Dio vorrà degnarsi di entrare e di abitare in voi, certo: ma per via del tutto opposta. È solo per come un uomo mette da parte ogni supporto estraneo e se ne sta solo con se stesso che io potrò vederlo forte e vincente. Egli è indebolito da ogni nuova recluta che s'aggiunge. Non è un uomo superiore a una città? Non chiedere nulla di altri e, nell'incessante mutazione, tu solo, come salda colonna, apparirai ben presto come colui che regge tutto quanto ti circonda. Chi sa che la vera forza è innata, chi sa che ogni debolezza gli deriva dal suo aver ricercato il bene fuori di sé e in ogni luogo, e, avendo ciò compreso, si rivolge senza alcuna esitazione al suo più severo e interiore pensiero, può di colpo risollevarsi e raddrizzarsi nella sua posizione eretta, comandare alle sue membra, operare miracoli; così come chi sta diritto sui suoi piedi è più forte di colui che volesse reggersi sulla sua testa.

Alla stessa maniera userete di tutto ciò che si definisce Fortuna. La maggior parte degli uomini gioca con lei, e vince tutto, e perde tutto, così come gira la sua ruota. Ma tu lascia come illecite tali vincite, e tratta di Causa ed Effetto, cancellieri di Dio. Opera e accumula nell'ambito della Volontà, e avrai incatenato la ruota della Casualità, e potrai sedere da allora in avanti fuori da ogni timore, libero dalle sue rotazioni. Una vittoria politica, un aumento di redditi, la guarigione da un'infermità, il ritorno di un amico, o qualsiasi altro favorevole evento, risollevano il tuo animo, e tu pensi allora che lieti giorni si preparano per te. Non crederlo. Niente potrà recarti pace se non il trionfo dei principi.

 



 
NOTE

(1) «Non Cercarti fuori di te»: secondo una lunga tradizione di saggezza, che Emerson si propone di integrare con un senso di intervento più rude e «vitalistico» («con mani e piedi»), come appare evidente dai versi del secondo «motto».
(2) Milton, Paradise Lost, I, 543.
(3) Leté era il fiume d'oltretomba le cui acque davano l'oblio della precedente vita terrena.
(4) Dell'abolizione, cioè, della schiavitù dei negri negli Stati del Sud.
(5) Isola delle Antille, allora colonia inglese, dove la schiavitù era stata abolita (nel 1833).
(6) Matteo, X, 34-37.
(7) Esodo, XII, 21: «...e aspergerete il frontone e i due stipiti della porta».
(8) «With a foolish tace of praise» (Alexander Pope, nella Epistle to Dr. Arbuthnot, v. 212).
(9) Giuseppe respinse la protezione della moglie di Putifarre (Genesi, XXXIX, 12).
(10) Lord Chatham e' William Pitt (1708-1778), il celebre statista e
oratore inglese.
(11) John Adams fu, dopo Washington, il secondo Presidente degli Stati Uniti (1796-1800); e John Quincy Adams fu Presidente dal 1825 al 1829. Ma probabilmente Emerson si riferisce qui a Samuel Adams (1722-1803), ardente patriota e fautore dell'indipendenza americana.
(12) George Fox (1624-1691) fondò, in Inghilterra, la «Società degli Amici» (detti poi quaccheri, cioe quakers, «tremolanti»). John e Charles Wesley fondarono il metodismo (nel 1739), movimento di risveglio evangelico in seno all'anglicanesimo. Thomas Clarkson (1760-1846) fu fervente promotore di iniziative antischiaviste in Inghilterra.
(13) «the height of Rome» (Paradise Lost, IX, 510).
(14) E' anche nella Bisbetica domata di Shakespeare.
(15) Re Alfredo, detto «il Grande», regnò nella Britannia anglosassone nel secolo IX. Scanderherg (Giorgio Castriota), che si batte con valore ed eroismo contro i turchi, è l'eroe nazionale albanese (1403--1468). Gustavo I (Gustavo Vasa) fu il fondatore della dinastia reale svedese (secolo XVI); Gustavo Adolfo portò la Svezia a intervenire nella Guerra dei Trent'anni. Cadde nella battaglia di Lùtzen (1632).
(16) Esodo, III, 5: «E disse: "Non avvicinarti. Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai è terra santa"'».
(17) Nella mitologia nordica, Thor era il dio della guerra; e Wotan o Odino (Woden, nei testi anglosassoni) era il «capo» degli dei. È chiaramente avvertibile, in tale valorizzazione della «rude» eredità anglosassone, l'influsso esercitato da Carlyle.
(18) Cioè ispirato al rifiuto di ogni legge e obbligazione. L'antinomismo indicò, nell'ambito delle tendenze più estreme del protestantesimo, la radicale superiorità della Grazia su ogni aspetto di formalismo legale-ritualistico.
(19) Giovanni, I, 14.
(20) Genesi, I, 25.
(21) Citazione dell' Avesta, il libro dell'antica religione persiana, la cui fondazione si attribuiva a Zoroastro (Zaratustra).
(22) Esodo, XX, 19.
(23) Emerson non amava troppo, ovviamente, l'empirismo, ma ammirava in Locke (e anche in Jeremy Bentham, il filosofo dell'utilitarismo) l'energia e l'acutezza della mente indagatrice. Lavoisier è il grande chimico e fisico francese. James Hutton (1726-1797) fu considerato «il fondatore della geologia». Quanto a Fourier, si tratta non del famoso filosofo e politico «utopista», ma del matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830).
(24) Il gruppo religioso fondato dai seguaci di Emanuel Swedenborg (1688-1772), il teosofo-scienziato svedese che eserciterà notevole influsso sullo stesso Emerson.
(26) Il conte Emmanuel de Las Cases (1766-1842): che seguì Napoleone nell'esilio, l'autore del Memoriale di Sant'Elena.

(27) Il califfo Ali, genero di Maometto. Detti e proverbi a lui attribuiti erano apparsi in traduzione inglese nel 1832.

NOTE CHR

(x) Un bell'esempio è il bambino "descolarizzato" di Silvano Agosti.
(x) Applicato ad un territorio, autarchia/autonomia

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